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Sardegna, la nuova Cochabamba...


“Per tutti i popoli l'acqua è un bene di fondamentale importanza, per i sardi essa ha sempre rappresentato una risorsa rara e preziosa perché quasi sempre scarsa”
Bellissima frase, impossibile sostenere il contrario, perfetta per un articolo scritto per sostenere la campagna a favore dell'acqua pubblica! Fa sorridere il fatto che sia scritta nel sito internet della Regione Sardegna, la stessa che ha deciso di privatizzare l'acqua potabile con la presunzione di ridurre le spese al bilancio. Purtroppo la conformazione del territorio sardo non ci consente di avere un sufficiente e costante approvvigionamento idrico dal momento in cui solo il 20% dell'acqua proviene dal sottosuolo, mentre il restante 80% viene accumulato.
Nel corso degli anni si sono dovute costruire circa 60 tra dighe e sbarramenti per assicurare anche nei periodi di siccità una riserva che ci consentisse di evitare uno shock idrico. Questo, sommato alla scarsa densità di popolazione e all'assoluta necessità di servire anche le zone più isolate, ci ha costretti ad impiantare una complessa rete di interconnessione tra bacini idrici che risulta estremamente onerosa. Le condutture sono in gran parte obsolete e le mancate manutenzioni fanno sì che tutta la rete idrica si comporti come un colabrodo, l'INSTAT ha calcolato che per erogare 100 lt se ne immettono circa 80 lt in più per garantire la continuità dell'afflusso nelle condutture e per sopperire alle perdite delle condutture stesse. Chi dovrebbe effettuare la manutenzione è Abbanoa spa, una società nata nel 2005 dalla fusione di tutti i gestori sardi. Le azioni sono di proprietà dei comuni e della regione, quindi al momento ci troviamo in una situazione intermedia, né totalmente privatizzata, né totalmente pubblica. L'unica cosa che gli utenti hanno notato è un aumento delle bollette pari al 15-20% dal 2005 al 2010. Ma è solo la punta dell'iceberg: a febbraio il presidente di Abbanoa ha dichiarato che “sono necessari immediatamente 150 milioni per rimettere a norma e ammodernare le reti idriche, 50 milioni per realizzare le mappe delle reti che giacciono sottoterra […], 200 milioni per realizzare gli interventi di manutenzione straordinaria degli impianti di depurazione”. Ovviamente nessuno ha disponibile una tale liquidità quindi l'assemblea degli azionisti di Abbanoa ha incaricato il c.d.a. di dare il via alle procedure per cedere il 40% della spa come previsto dalla legge 166 del 2009. La privatizzazione consiste nel cedere la fornitura di acqua potabile, in pratica gli acquedotti non sono più gestiti dai comuni ma da aziende private. In teoria verrebbero così alleggerite le uscite dei comuni per quel che riguarda il mantenimento e la manutenzione degli impianti, in pratica aumenterebbero i costi per gli utenti finali (noi) che non solo vedremmo lievitare le nostre bollette ma ci dovremmo accollare indirettamente tutti i costi legati alla riparazione ed adeguamento delle infrastrutture perché nessun' azienda si sognerebbe di spendere soldi in opere che rimarranno di proprietà collettiva.
In conclusione, il passaggio da utente/contribuente a cliente avrebbe effetti disastrosi sui bilanci familiari ed aziendali, l'acqua diverrà una comune merce e, in regime di monopolio, la multinazionale erogante aumenterà i costi a proprio piacimento. Non dimentichiamo che in Bolivia, solo una decina d'anni fa e in una situazione analoga, le bollette idriche arrivarono ad incidere per un terzo di uno stipendio medio. In più non verrà sicuramente incentivato il risparmio dell'acqua perché per loro più alti sono gli sprechi più alti sono i guadagni. Rimane solo una cosa da fare, votare SÌ per non diventare la nuova Cochabamba!

di Andrea Pinna

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