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(S)cambiare in Ghana a puntate - capitolo primo



“perché non scrivi un articolo sul viaggio che hai fatto in Ghana? ne hai parlato cosi tanto che potremo scriverlo noi...”
A questa domanda non potevo che rispondere positivamente e con grande entusiasmo perché sono tantissime le cose che vorrei condividere di questa esperienza ... poi mi accingo a mettermi davanti al foglio bianco... e vinco il blocco della prima pagina con un pensiero che mi viene in mente: cosa ha rappresentato per me? Perché ho scelto di vivere questa esperienza? Cosa significava per me il Ghana prima di partire e cosa significa ora? Sì, perché per me parlare di questo viaggio non vuol dire solo raccontare del mese vissuto là, significa anche parlare della prima volta in cui ho riflettuto su questa possibilità, del modo in cui questa possibilità è divenuta realtà e significa anche tirar le somme di quel che rimane dopo il ritorno.
Per questo motivo riassumere tutto in un articolo mi fa sentire come se dovessi travasare un bottiglione di vino in un bicchiere di plastica, e temo di non farcela, continuo a scrivere ciò che mi passa per la mente, raccontando della mia inibizione nel raccontare.
Lo faccio perché questa difficoltà è una parte preponderante di quel che mi è rimasto... e forse anche per questo, il modo migliore per iniziare il racconto, è proprio la fine del viaggio, quando il 6 aprile 2010 siam tornati in Italia.
Si, mi piace partire da questo punto, dalla mia sensazione di smarrimento nel sentire parlare dopo un mese la lingua italiana, dalla sensazione di alienazione dal contesto avuta all'aeroporto di Roma, come se fossimo stati lontani una vita dalla nostra vera vita, tanto da sentirci quasi fuori posto. Ovviamente questa forte sensazione è durata pochissimo, è bastato il suono di un altoparlante, poi comprare un giornale all'edicola, bere un caffè al bar, una pizzetta alla stazione di Civitavecchia, tornare a casa e riconoscerne l'odore, accarezzare il mio gatto, vedere gli amici e bere con loro...
Son bastate solo manciate di piccole quotidianità a catapultarmi in poco tempo nuovamente nel mio spazio e nel mio status di paranoico studente fuori corso.
Il ritorno alla routine è stato cosi rapido che, a distanza di qualche giorno, il viaggio sembrava quasi un sogno più che un'esperienza, ma nonostante questo, quel che ancora mi colpisce è quella sfuggente sensazione di smarrimento e di estraneità provata all'aeroporto, cosi effimera eppure cosi vera.
Come è possibile? Basta un mese in Africa per sentirsi Sperduti in una realtà che invece si conosce da venticinque anni? Come è possibile sentirsi fuori posto quando si torna a casa? - E' solo il prezzo della suggestione!- almeno cosi mi dico ogni tanto...ma sarà vero?
Ora sto scrivendo del viaggio a mesi e chilometri di distanza dal Ghana, ora parlo del viaggio da casa mia ed è facile razionalizzare tutto, è troppo facile ridurre tutto a “suggestione”.
Voglio essere sincero, probabilmente son partito più per la voglia di scappare che per la voglia di conoscere,ma qualcosa durante il viaggio è cambiata... (continua)

Antonio Matzeu

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