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Imparare a vedere oltre


Il 10 maggio al Cafè Barcellona, in Piazza Dettori a Cagliari, si è tenuto un incontro dal titolo "Il Mediterraneo unisce non divide" per la presentazione del libro "Non si alza il vento" di Hamze Abbas Jammoul, del quale si sono lette alcune delle parti più salienti, accompagnate dalla musica di Fairouz e Irma Toudjia, seguite da un interessante scambio di opinioni sul tema principale dell'incontro: la fratellanza tra tutti i popoli del Mediterraneo.
I racconti d'amore, di pace e di guerra di Jammoul ricalcano pienamente quello che è lo stile di tutti gli scrittori arabi. La vita nel deserto viene vista sia come strumento di crescita interiore e di riflessione, sia come uno dei tanti ostacoli a cui la vita ci sottopone e che dobbiamo affrontare e superare per migliorarci.
Il tema principale della manifestazione è però stato quello di far capire al popolo sardo quanto si abbia in comune con i popoli arabi che, come noi, si affacciano sul Mediterraneo. A questo proposito la testimonianza di Eugenio Lai, sindaco di Siniscola, comune gemellato con quello Libanese di Rub Tletin, è stata davvero illuminante. Mettere da parte pregiudizi, discriminazioni e preconcetti è la base per capire un popolo diverso dal nostro, ma anche per trovare i fattori che abbiamo in comune.
Gran parte dell'incontro è stata volutamente incentrata sui rapporti che ci sono stati, e che tutt'ora ci sono, tra la Sardegna e quella parte dell’Africa bagnata dal Mediterraneo, due mondi che hanno molto in comune, non solo dal punto di vista geografico e commerciale (stesso clima, stessa agricoltura) ma soprattutto da quello culturale. Siamo entrambi un popolo che vive di turismo, pesca, agricoltura e allevamento; un popolo testardo e orgoglioso, geloso delle proprie ricchezze ma al tempo stesso caloroso, accogliente e disponibile. Ci accomunano poi tanti piatti della cucina povera, l'amore per il sole e per la musica etnica.
La cosa forse più sorprendente è che queste somiglianze si riscontrano anche a livello linguistico: particolarmente interessante è stato infatti il momento in cui Jammoul si è limitato a elencare solo alcune delle parole italiane che derivano dall'arabo (nonostante esso venga tradizionalmente visto come una lingua difficile, incomprensibile e astrusa): "sukkar", zucchero; "hasscascin, hashishiyya", assassino; "al-giabr", algebra; "bazar", parola completamente assimilata dall'italiano, che significa mercato; "limun", limone. Anche il sardo presenta termini emblematici della nostra fratellanza linguistica e fonetica con il popolo arabo: "zaffanau" si traduce "jafaran" in arabo e "asfar" (che significa giallo) in persiano; "arrosu" in arabo è reso con il termine "a'ruz": suoni e pronunce che evidenziano l'importante eredità.
Queste dovrebbero tutte essere valide argomentazioni per imparare a vedere oltre le apparenze, per interessarsi a un popolo, a una cultura e a una civiltà che sembrano tanto lontane e diverse dalla nostra ma che invece sono fittamente correlate. Mettere da parte i pregiudizi è il primo passo per imparare, conoscere e diventare ogni giorno persone più informate, sagge e complete. Tutti i popoli del Mediterraneo, bagnati dallo stesso mare e riscaldati dallo stesso sole, dovrebbero semplicemente acquisire la consapevolezza di essere nati e stati cullati dalla stessa terra. Sarebbe non solo un passo in avanti contro il razzismo, ma anche un incentivo a visitare, non semplicemente con l’ottica del turista, dei posti stupendi che hanno fatto anche la storia della nostra cultura.

di Alessandra Puddu

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